15 Gennaio 2016

Autunno, inverno, primavera, estate e ancora autunno

L’autunno del patriarca
di Gabriel García Márquez

 

Copertina_Autunno_patriarcaQuella centenaria solitudine di Gabriel García Márquez, evocata in occasione del conferimento nel 1982 del Premio Nobel per la letteratura, rivive nella sua più drammatica accezione ne L’autunno del patriarca (Oscar Mondadori), un’intensa ma antiretorica e apropagandistica reprimenda contro la dittatura, immagine speculare dei governi succedutisi in America Latina, e non solo.
A partire dalla sua reiterata morte e dal ripetuto rinvenimento del suo presunto cadavere (grazie alla “fedeltà canina” di un suo perfetto sosia), un interminabile flusso di coscienza (anche oltre 40 pagine quasi prive di segni di interpunzione) rievoca l’imperitura, mitizzata e demonizzata vita del dittatore di una non specificata isola caraibica vessata dal suo smisurato regno di afflizione, repressione e sterminio.
Diegesi e mimesi si alternano nella narrazione e nella descrizione da parte di un proteiforme collettivo narrante che ora è un io, ora un noi, ora un egli (i sudditi, il generale stesso, anche all’interno del medesimo interminabile periodo), ai cui differenti punti di vista e ricordi sono affidati i fatti in un incessante gioco di analessi e prolessi.
Un tempo eterno, incalcolabile – “l’orario della sua vita non era sottoposto alle norme del tempo umano bensì ai cicli della cometa” – in cui, si diceva, che il generale, inveterato amatore, avesse avuto più di cinquemila figli con le innumerevoli donne succedutesi nel suo serraglio, che fosse cresciuto sino ai cent’anni e che a centocinquanta avesse avuto una terza dentizione.
Intensamente lucido e impietosamente veridico, il visionario e iperbolico Márquez vira anche nell’amara e macabra comicità esponendo le “imprese” del protervo, crudele, vizioso e misero generale e al cospetto delle quali la repulsa non può essere dissimulata.

L’autunno del patriarca, forse il romanzo più complesso e meno lirico di Márquez, pubblicato nel 1975, è una riflessione sul potere che, laddove assoluto, secondo l’autore, rappresenta la realizzazione più alta e più complessa dell’essere umano sintetizzandone, forse, ogni grandezza e miseria. “Una materia tangibile e unica, una pallina di vetro nel palmo della mano” che il generale tenta di conservare sino alla fine per soddisfare il suo smisurato appetito. Conscio della propria incapacità d’amore si illude, infatti, di “compensare quel destino infame col culto bruciante del vizio solitario del potere”, ignaro, tuttavia, della capziosa spirale generata dalla sua sazietà e dal suo appetito. Diviene egli stesso vittima “di quell’olocausto infinito”, volto oscuro del potere, madre della compiacenza, della menzogna e della solitudine. “Si addormentò all’istante più solo che mai, cullato dal rumore della scia di foglie gialle del suo penoso autunno che quella notte era cominciato per sempre sui corpi fumanti e sulle pozzanghere di lune vermiglie del massacro”.

Solitudine “patriarcale”, dunque, ma anche quella solitudine di asservimento tematizzata nell’allocuzione del 1982, quando la risposta di Gabriel García Márquez all’opposizione, al saccheggio e all’abbandono, fu la vita, “una nuova e impetuosa utopia della vita”, la medesima data a questo tempo eterno, a tutti i tempi eterni.
Se memorabile, per alcuni, è l’incipit di Cent’anni di solitudine, di altrettanta seppur più commovente bellezza è, dunque, l’epilogo de L’autunno del patriarca dove lo scrittore agli incalcolabili anni di sfortuna giustappone gli inafferrabili istanti di felicità, una vita dove l’amore è contaminato dai germi della morte,

dove il generale è soltanto una visione incerta di due occhi penosi attraverso le tendine polverose del finestrino di un treno, il tremito di labbra taciturne, il commiato fuggitivo di un guanto di raso della mano di nessuno di un vecchio senza meta che non seppimo mai né chi fu, né come fu, né se fu solo uno scherzo della fantasia, un tiranno da operetta che non seppe mai dove si trovava il diritto   di questa vita che amiamo con passione insaziabile”.

Premi letterari, Recensioni

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