16 Ottobre 2017

(Anche) l’amore ai tempi della migrazione

Exit West
di Mohsin Hamid

 

“Nel tardo pomeriggio Saeed salì in cima alla collina e Nadia salì in cima alla collina, e da lì contemplarono l’isola, e il mare, e lui si piazzò accanto a dove si piazzò lei, e lei si piazzò accanto a dove si piazzò lui, e il vento strattonava e scompigliava loro i capelli, e si guardarono intorno in cerca dell’altro, ma non videro l’altro, perché lei salì prima di lui e lui salì dopo di lei, e ciascuno dei due restò poco tempo sulla vetta, e in momenti diversi.”

 

 

“Il me semble que je serais toujours bien où je ne suis pas”, (“Mi pare che sarò felice dove non sono”), scriveva Baudelaire.
L’esistenza dei protagonisti di Exit West sembra accompagnata dalla medesima sensazione. Un malessere, un adagio cantilenante come la prosa costruita su lunghi periodi ridondanti di allitterazioni, reiterazioni e di tempi imperfetti, con cui Mohsin Hamid atarassicamente racconta. È lo stato del migrante nell’era delle tecnologie quello narrato dall’autore pakistano, ma è anche lo stato dell’amore ai tempi della migrazione, con tutti i pregressi e gli annessi inevitabilmente più prosaici che romantici che le due condizioni recano con sé: l’inquietante e inesorabile spegnersi di una città mediorientale flagellata da una guerra civile da cui la fuga è possibile soltanto attraverso porte magiche, ma alquanto dolorose, – metafora dei più “terreni” barconi – traghettatrici verso luoghi remoti, verso un altrove dove la speranza non sia un’utopistica idea; il buio, sentina di aggressioni, di stupri, di violenze; la vergogna, “un sentire condiviso da tutti i profughi” che assurge così a condizione naturale; la paura, primordiale, tribale, repressa; la banalità di gesti quotidiani, attinente all’essenziale sfera “dell’umanità, del vivere da esseri umani, del ricordare a se stessi ciò che si era” e che può valere anche il prezzo di un litigio.
È un pianeta in movimento quello di Hamid, in cui anche i giovani cuori innamorati decidono di affrontare il buio di quelle porte potenzialmente salvifiche, di quei varchi opachi e impermeabili alla vista “sia al di qua che al di là” rappresentando “tanto un inizio quanto una fine”.
Forse c’è tutto, forse nulla.
In Exit West si respira la fugacità dell’istante: di quello che va dall’alba al tramonto di un amore fiaccato dall’eccessiva prossimità fisica e dalla distanza mentale imposte dalle contingenze (“Ogni volta che si spostano, due partner, se la loro attenzione è ancora rivolta l’uno verso l’altra, cominciano a vedersi in modo diverso, perché le personalità non hanno un unico immutabile colore, come il bianco o il blu, ma sono come schermi illuminati, e le sfumature che proiettano dipendono da ciò che ci circonda. Così era stato per Saeed e Nadia, che in quel nuovo posto erano cambiati l’uno agli occhi dell’altra.”); di quello conseguente ad una corsa che trascende lo spazio e il tempo, la durata e la causa (“Continuare per sempre a fuggire va oltre le capacità della maggior parte delle persone: a un certo punto anche un animale braccato si ferma, esausto, e attende il proprio fato, anche solo per un istante”).
Si respira la transitorietà di un sentimento che lentamente, mutandosi, si deteriora erigendo barriere (ora non di cemento), e si avverte la precarietà dell’essere anche dinanzi alle brutalità e alle aberrazioni di cui soltanto l’uomo è capace: “Essendo cresciuto nelle circostanze spesso perigliose in cui era cresciuto,era consapevole della vulnerabilità del corpo. Sapeva quanto poco ci vuole a trasformare un uomo in carne da macello: un colpo, uno sparo, il guizzo di una lama, lo sbandare di un’automobile, la presenza di un microrganismo in una stretta di mano, in un colpo di tosse. Sapeva che da sola una persona è poco più che niente”.
E tali suggestioni, afferendo entrambe all’esperienza della morte, esacerbano il valore delle cose.
Ad Exit West (Einaudi) è stata riconosciuta  la potenza visionaria della letteratura nel dare un senso agli odierni tempi governati dal disorientamento e dalla follia. Forse risponde al vero. L’esattezza dell’attribuzione di qualifiche a cose e persone lo conferma, sottolineando tuttavia ancor più l’aporia di  realtà connotate da contraddizioni di sistemi di interessi e di culture ciechi e confliggenti.
“Tutti emigriamo anche se restiamo nella stessa casa tutta la vita, perché non possiamo evitarlo. Siamo tutti migranti attraverso il tempo.”

 

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