29 Settembre 2017

La Trilogia dei colori_Maxence Fermine

 

 

“Ma che ne sa della pittura e dei suoi colori? Si può scrivere in diecimila fogge, ma per me assomigliano tutte alla neve.
Andrò a trovare l’imperatore quando avrò scritto diecimila sillabe, diecimila sillabe di un candore smagliante. Non una di meno.”

“Quella notte, continuando a camminare nel deserto, Aurélien ebbe l’intuizione che si ha in punto di morte: la vita è appesa ad un filo d’oro tessuto dai giorni in cui si capisce che il bisogno di placare la propria sete sarà sempre più forte del piacere di bere. Che il bisogno di restare vivi sarà sempre più bello del piacere di vivere. E Aurélien, con tutte le proprie forze, ebbe voglia di rimanere attaccato a quel filo.”

«”È interessante suonare quel violino nero?”
Gli domandò Johannes il terzo giorno.
Erasmus sollevò lo sguardo, e un leggero pallore gli velò il viso.
“È lo strumento più straordinario che io conosca. Un semplice alito basta a farlo vibrare. Ma la musica che ne scaturisce è talmente strana da poter cambiare la vita di chi lo suona.
È come la felicità una volta che la provi, ne resti marchiato a vita. Suonare il violino nero è la stessa identica cosa. (…) Non c’è niente di peggio che esser stati felici una volta nella vita.
Da quel momento in poi tutto il resto ti rende infelice, anche le cose più insignificanti.”»

“L’amore è l’arte più difficile. E scrivere, danzare, comporre, dipingere, sono la stessa cosa che amare. Funambolismi. La cosa più difficile è avanzare senza cadere.”
Questione di equilibrismi, di levità, di ricerca, di crescita.
“Ci sono due specie di persone. Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono. E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita.”
Ci sono tre colori nella penna di Maxence Fermine.
Bianco, oro e nero.
Tre piccoli ma preziosi gioielli dalla poesia lieve come il cadere del fiocco di neve sul terreno, come lo sfiorare dell’archetto le corde di un violino, come il posarsi dell’ape sul fiore.

 

Neve ~ L’apicoltore ~ Il violino nero (Bompiani)
Maxence Fermine, Albertville 1968

 

“Quel giorno, avevo appena vent’anni, scoprii Venezia per la prima volta.
E scoprendola mi sentii in possesso di due cose pure e belle: un violino e un cuore.
Non sapevo che stavo per fare a pezzi l’uno e l’altro. Per sempre.”

 

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