9 Gennaio 2018

HASHISH_Walter Benjamin

 

 

“Ecco manifestarsi le pretese spaziali e temporali tipiche del mangiatore di hashish. Quelle, notoriamente, sono assolutamente regali. Per chi ha mangiato l’hashish Versailles non è troppo grande, né l’eternità dura troppo a lungo. E sullo sfondo di queste dimensioni immense dell’esperienza interiore, della durata assoluta e del mondo spaziale incommensurabile, uno humor meraviglioso e felice si sofferma sulle contingenze del mondo spaziale e temporale.”
La migliore descrizione dell’ebbrezza da Hashish si dice essere quella fornita da Baudelaire nei Paradisi Artificiali.
Quella del filosofo tedesco Walter Benjamin, che dal 1927 al 1933 (34), tra Ibiza e Marsiglia, insieme con alcuni amici tra cui Ernst Bloch, intraprese una serie di esperimenti sugli effetti psichici e fisici della sostanza psicotropa, ha certamente un carattere molto più scientifico.
HASHISH è un trattato che documenta, attraverso la redazione di dettagliati e “lucidi” verbali lisergici, le alterazioni sensoriali generate dall’assunzione della droga in primis da Benjamin che nell’euforia e nella depressione individua due elementi dicotomici, dunque confliggenti che impediscono una costruzione di pensieri nell’ebbrezza.
Dalla Spagna agli Stati Uniti, quasi un nume tutelare e un padre scienziato di quel “delirio e disgusto a Las Vegas” di thompsoniana memoria, Benjamin, durante le Crocknotizen, sperimenta suggestioni reminiscenziali, letterarie e mitologiche, sino a giungere alla scoperta del mistero dell’autoritario Der Struwwelpeter (Pierino Porcospino).

HASHISH (Cult Editore)
Walter Benjamin
Berlino, 15 luglio 1892 ~ Portbou, 26 settembre 1940

 

 

“Prima, modestissima illusione alle sei in punto. Passa fragorosamente una carrozza. Due pini sembrano saltare nello stesso punto.
Un certo acquietamento.
Se parlassi probabilmente tutto sarebbe più chiaro, perché tante cose sono suscitate dall’amore del proprio io.

Il fare è un mezzo
per sognare
Il contemplare è un mezzo
per rimaner desti.
 Ciò che è quiete
più magnanimo in ritmi
 Il passo di un uomo che si allontana è l’anima della conversazione che hanno avuto.
 Ancor sempre lo stesso mondo – eppure si pazienta
  La fantasia si fa civilizzatrice –
Ah se avessi di nuovo le Allegre comari di Windsor
 Umoristici servitori
berlinesi
 Nella nebbia berlinese
Per grazia di Dio le favole berlinesi:
Oh bruna Colonna della vittoria
Avvolta in zucchero filato nelle giornate d’inverno
Cannoni francesi sovrastano
E il mio domandare.
Barbarossa 1771
 Ho visto perché quando ci si nasconde nell’erba si può pescare in terra
Ogni immagine è un sonno a sé
 Je brousse les images (…)”

 

 

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